La città e la bic fasulla
Care concittadini che abitate nella città più signorile,
l’altro giorno abbiamo fatto in classe il tema “Descrivi la tua città”.
Purtroppo mi si è scassata la Bic nera appena comprata e ho dovuto fare lo
svolgimento co la penna rossa che il professore Lo Pinto mi ha detto che gli è
venuto il mal di testa a leggerlo, anche se ha apprezzato qualcosa. Così adesso
vi voglio porgere, dopo i saluti, qualche riflessione che potrebbe esservi
utile, ricordandovi in primis di provare sempre la penna Bic davanti al
cartolaio, ché ormai una su due è fasulla.
Care
concittadini che nel palazzo ci avete il portiere, sono Felice che vi parla
dalla via Casalofio, che onestamente la conoscono solo quelli che hanno la
fortuna di abitarci. Si trova proprio dietro i cartelloni dell’autostrada dove
ci sono appiccicate le foto di politici di gigantezza stupefacente. Li vedo
ogni giorno felici, che certo questo è il momento che loro hanno sognato da
tempo, di averci la fotografia sul manifesto che i cani ci ululano la notte un
poco allarmati. Dice che in Francia ci hanno ululato pure le persone sotto le
cartellone di Marina. Ma quello è un altro incubo. Purnondimeno anche noi fra poco ci abbiamo l’elezioni e ci
abbiamo l’abbondanza di una slavina di candidati. Molti sembrano nuovi ma forse hanno l’inchiostro vecchio nel
sangue come certe Bic o non ci
hanno proprio sostanza. In ogni
caso è meglio aprire l’occhi.
Care
concittadini che abitate nel centro dello sciopping, qui in via Casalofio e dintorni
c’è la periferia, come ci ha spiegato il professore Lo Pinto, e la città sembra
un’aiola spartitraffico fra le auto che scappano da una parte all’altra del
mondo. Purtuttavia, quello che ci ho davanti agli occhi è assai interessante,
anche se non ho ancora capito dove inizia e dove finisce la città di cui vi
parlo. Anzi, veramente, pare che tutto deve ancora cominciare e che niente è
stato finito. O forse è già finito e non ce ne siamo accorti. Inzomma, i
penzieri mi si sono confusi ma almeno i politici potranno capirmi con la loro
lungamiranza, che da sopra i cartelloni penzo che hanno la vista più allungata
della mia.
Certo quello
che si vede qui in genere, non è molto ammirato. Eppure ci sono infinite
attrazioni che vado a presentarvi. Ci abbiamo il ponte dell’autostrada che va
dritto non si sa dove, il muro della ferrovia senza la ferrovia, la terra con
le carciofe che si mescola alle case e i palazzi che si prendono il vento dello
scirocco sulla faccia. C’è la piazza dove ci posteggiano i camioni e ci dormono
i cani, la sala Bingo e il tabacchino che svende le pantofole di pelusce che
qui sono molto di moda, il benzinaio che vende anche i broccoli e le lumache
che alleva a casa sua, le grate di ferro artistico alle finestre del
pianterreno dei palazzi, la montagna che sembra un miraggio sulla città, la
rotonda grande coi pini che pare l’isola di Robinsonne che se ci finisci in
mezzo non puoi tornare più indietro. C’è quelli che parla solo di scappare,
quelli che scappa, quelli che appende le luci colorate sul balcone, quelli che
pianta le rose, i melanzani e i pomodori in giardino, le ragazze che il sabato
volano in centro strizzate come salsicce e la domenica ci hanno le pantofole di
pelusce, i ragazzi col ciuffo drizzato in testa e il motorino in riserva. C’è
Said l’algerino del Carfur che porta la spesa e Antonio che porta da mangiare a
Said. C’è mille negozi chiusi e torrenti di gratta e vinci grattuggiati che
svolazzano luccicanti sui marciapiedi. C’è la vecchia torre dell’acqua piena di
felci e bustine, che ci passano tutti quelli che vengono dal centro a fare
spesa di roba e i ragazzi che smerciano le bustine, il cartolaio che rifila le
Bic rinsecchite, l’associazione della signora Rosa che aiuta le ragazze madri.
E ogni notte allaghiamo questo mondo di speranze, di smanie bastarde, fra i
mille riflessi delle nostre paraboliche avvitate sui tetti, e a ogni risveglio
la luce dal mare ci raggiunge fra una bestemmia, l’acqua di colonia del
supermercato e gli occhi furbi dei bambini che prendono a calci la saracinesca
della tipografia dietro cui dorme il signor Tinnirello che la moglie lo ha
buttato fuori di casa.
Forse tutto
questo, per voi che siete dall’altra parte del muro, non ha molto senso. Ma vi giuro che c’è qualcosa di bello a
guardare il mondo dalla via Casalofio. Lo so, queste parole devono sembrarvi
sgualcite come le nostre facce che annaspano nella babele della terra del
gratta e vinci e delle pantofole di pelusce, fra la polvere sottile del
rancore, che è peggio dell’amianto.
E forse, le mie parole non vi sembreranno molto fruttifere.
Ma io penzo che anche i bambini del centro ci hanno diritto a una saracinesca
da prendere a calci prima di ficcarsi a scuola.
E sono Felice che vi saluta un poco triste che nel tema ci
ha avuto cinque meno. Perché ho divagato senza il costrutto, dice il professore.
Felice Sghimbescio
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