A Ivan e Ivan


Caro Ivan Ivanovich Nikiforov e caro Ivan Nikiforovich Ivanov, sono Felice che vi scrive. Sì, è vero, ho un po’ fantasiato i vostri nomi solo per scansare la censurazione, ma sono certo che questa mia in un modo nell’altro vi raggiungerà da una parte e dall’altra del fronte. 
Da tre mesi ci ho lo sgomento di questa guerra, cioè di quella che tu non chiami guerra, Ivan, mentre per te, Ivan, è guerra. Inzomma, sia come sia, ci ho lo sgomento, anche se sono lontano da voi che ne sapete molto più di me della paura. 
Ho tanto penzato prima di scrivervi, strizzando la pezza di cervello che mi ritrovo per rinfrescare le idee, mentre le urla delle televisioni italiani appannavano gli schermi e il mondo cambiava a capofitto. E se scrivo a voi, mettendoci i miei penzieri e il mio cuore, mi perdonerete di quanto non potrò mai veramente capire di voi e della vostra vita.
Purnondimeno - chiamatela o no guerra -  a chi altri dovrei scrivere se non a voi che siete alla prima linea e, con rispetto parlando, ci rischiate il culo. D’altronde, con Vladimir non è aria di discutere, ancor meno di berci una gazzosa, Joe ci ha in testa la crociata mericana con la pelle degli altri, le cancellieri europei sono appesi alla canna del gas e Boris si crede Churchill.
Caro Ivan e caro Ivan, inzomma, spero che questa lettera confortevole vi raggiunga in buona salute, scansando le pallottole che fischiano sopra le vostre teste. Magari tu, Ivan, sei inscatolettato nella panza di un panzer smarmittato e tu, Ivan, stai sprofondando dentro il fango della più fetente palude ucraina con un coltello fra i denti. Certo non vi sarà facile leggere questa mia, anche perché nella panza del panzer, caro Ivan, probabilmente la lucina di cortesia si ha fulminata al primo rinculo del cannone e a te, Ivan, l’occhiali ti si sono sciolti con la vampata d’una bomba al fosforo. Purnondimeno mi rincuora sentire dai vostri generali che ci avete buon umore e voglia di scannarvi con ogni mezzo, anche a colpi di tagliaunghie sovietici, apriscatole del Terzo Reich e tirabusciò d’epoca napoleonica. Però non disperate, le giornali annunciano che non mancheranno armi più sofisticate di terra, di cielo e di mare. Da una parte e dall’altra i generali stanno provvedendo a rifornire il campo di ogni ben di Dio: per te caro Ivan arrivano superbombarde americane, archibugi olandesi a pedali, stroncarazzi inglesi senza pedali, pallini polacchi, mazze chiodate tedesche con manico svizzero retrattile e le meglio diavolerie turche per ammazzare a distanza, nonché mortaretti italiani secretati, mentre per te, caro Ivan, dagli arsenali siberiani stanno per raggiungerti fresche squadre di Mammut scongelati e corazzati e - se non bastasse - le meglio catapulte atomiche usciranno fuori dagli sterminati boschi di betulle della madre patria. Quindi animo, la guerra non vi lascerà presto, almeno finché scamperete alla pallottola sbagliata che spero non vi raggiungerà mai.
Certo, caro Ivan Ivanovich, c’è molto più onore a servire la Patria che a sbuffare di noia in quel villaggio sperduto degli Urali, a mungere la vacca di tuo nonno, che poi tu mungevi e lui suonava sempre la stessa solfa su quella fisarmonica della Seconda Guerra. Così quando ti hanno detto, vai Ivan c’è da salvare Ivan dall’altra parte, sei andato e ti sei infilato nel tuo carro sputafuoco. E ti hanno detto, Ivan se quell’idiota di Ivan non vuole essere salvato ammazza lui le sue mucche, suo nonno, la moglie e i suoi bambini. Forse avresti voluto dire, Io non ho mai tirato il collo manco a una gallina, ma non c’era tempo, in guerra non c’è mai tempo e manco nelle operazioni speciali. E tu invece, caro Ivan Nikiforovich, di questo salvataggio - ti sei detto - ne faccio a meno, così hai imbracciato il fucile contro Ivan. E anche se non hai una mucca e un nonno, anche se tutti i politici ti stavano un po’ sulle scatole, hai seguito il tuo presidente al grido Nessuna trattativa! E se in pace guidavi lo scuolabus del tuo villaggio pieno di ragazzini spetazzanti, oggi rischi al vita per la bandiera e per la libertà di quei ragazzini, ammesso che resti qualcosa e qualcuno dopo questo macello. Certamente difendersi da chi comincia a spararti sulla testa è umano e sacrosanto, anche se la guerra di umano lascia ben poco. 
Forse, caro Ivan e caro Ivan, dalle vostre parti sono troppi i fili spinati rimasti dalle vecchie guerre e troppi i veleni intorcignati a questi come il pelo delle pecore. Troppi per capirci qualcosa e troppi i potenti che da tutte le parti spacciano altro filo spinato e benzina. 
Comunque caro Ivan e caro Ivan la guerra prima o poi finirà e alla fine Ivan vincerà e Ivan perderà. Cioè, tu Ivan vincerai e tu Ivan perderai. O al contrario. 
Certo l’importante caro Ivan e caro Ivan è che la guerra intanto la facciate civilmente, senza troppe cose criminali che se no ci fate incavolare le cancellerie, che ci hanno una certa sensibilità per i crimini. Soprattutto, visto che sono umane e democratiche, sono più sensibili ai crimini degli altri, escludendo, ovviamente, quelli di dittatori, principi e macellai che, chissà perché, gli stanno simpatici. Comunque, da queste parti, noi della guerra non sappiamo il puzzo e in televisione vien fuori risciacquata: missili che volano come la cometa dei re magi, qualche lacrima con musica a sottosfondo e poco sangue: che altrimenti la pubblicità come gliela mandi dopo? Anche se, onestamente, se ci scappa un servizio-cazzotto voltastomaco, poi la trasmettono lo stesso, forse perché hanno capito che - per reazione intestinale - la reclame, dopo, fa più effetto. Gli esperti sanno bene che il consumatore è un animale dalle budella deboli, pronto a buttarsi in gola, dopo un incubo, un budino surgelato, un antiacido o a sognare una vacanza a Dubai. 
Inzomma caro Ivan e caro Ivan se, come ci spiegano gli esperti di gelopolitica, questa guerra la volete proprio continuare state tranquilli perché mi pare che le chiacchiere sono a zero. E quello che serve per andare avanti sarà sperimentato fino in fondo sulla vostra pelle, sulle vostre famiglie, sulle vostre mucche e su tanti innocenti. 
Eppure a volte penzo che non siete così di buon umore come ci raccontano. Con il sangue avvelenato di vodka o acquavite andate all’assalto, sognando la vecchia solfa d’una fisarmonica sfiatata o il casino d’uno scuolabus pieno di ragazzini che spernacchiano. E fra una battaglia e l’altra, chiudendo gli occhi per pochi minuti ci avete sotto le palpebre solo i flesc delle granate e le teste o le gambe che avete fatto saltare o che avete visto volare via dai corpi dei compagni.
Comunque caro Ivan e caro Ivan la guerra prima o poi finirà e alla fine Ivan vincerà e Ivan perderà. Cioè, tu Ivan vincerai e tu Ivan perderai. O al contrario.
Inzomma, in modo o nell’altro, tornerete a casa, lo spero con tutto il cuore, sulle vostre gambe, con tutte le dita delle mani da infilarvi nel naso a piacimento e tutt’interi. E tu, Ivan, quando tornerai con le tue medaglie sulle verdi montagne degli Urali non dovrai più mungere la vacca perché i vicini se la saranno mangiata nel freddo autunno, mentre si riscaldavano con la mobilia e la fisarmonica di tuo nonno; e tu, invece, Ivan, con le tue medaglie al petto non troverai nel tuo villaggio manco un carretto da condurre, né la puzzetta d’un neonato. Da una parte e dall’altra, vodka o acquavite che sia, Ivan e Ivan, forse ne avrete ancora tanto veleno da smaltire. Magari per la prossima guerra.
E come sempre fra i vinti la povera gente farà la fame e fra i vincitori farà la fame la povera gente lo stesso. Così, almeno, diceva un poeta.
Oppure Ivan lascerai il tuo carrarmato per strada e tornerai da tuo nonno prima che gli mangino la mucca, mandando a quel paese Patria, patriarchi e guerra. E tu Ivan getterai il fucile nella palude e prendendo il respiro più grande della tua vita, a pieni polmoni griderai un grido che correrà per le steppe e i deserti oltre la Russia, fino in Cina e di notte, sulle onde del Pacifico, quel grido sveglierà i pesci e le balene e poi salterà sulle coste americane, correndo fra i vecchi pali del telegrafo nel deserto del Mojave e oltre le vette andine e dopo aver sollevato le sottane alla Statua della Libertà, attraversando l’Atlantico, falcerà l’acconciatura di Boris Johnson, scuoterà i pinnacoli di Notre Dame, farà soffiare i gatti del Colosseo e si porterà via l’ombrellone d’un gelataio ambulante sotto la Porta di Brandeburgo: Buttateci voi la vostra comoda vita in questo inferno! Io torno a casa!
Vabbè ho esagerato, Ivan e Ivan, era solo una cretinata.
E sono Felice che vi chiede scusa ché non posso immaginare manco una briciola della vostra vita.

Felice Sghimbescio


Commenti

  1. Abbiamo letto con molto interesse, caro Sgimbescio, il tuo commento agli ultimi fatti chr complicano la nostra tenuta internazionale. Apprezziamo sempre la tua lucidità

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  2. Letto d'un fiato! L' autore ne' farà un monologo in teatro!

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