Giorgia, facce sognà



Cara Giorgia presidente, ti scrivo dal mio pertugio di Via Casalofio, cioè da quella parte di Italia dove abitano quelli senza casa, sgobbano quelle senza lavoro, sperano quelli senza giustizia, spasseggiano quelle senza strade, penzano quelli senza scuola, quelle senza denti mordono, quelli senza documenti esistono, quelle senza speranza sucano le ghiacciole a fragola e i senza reddito quelli a menta, dove sognano i senza patria e i senza intelligenza sognano di sognare, dove i senza letto se lo comprano a rate e ci viene l'insonnia, dove quelle senza rubinette si fottono e i senza luce te la fottono, dove sopravvivono quelli impiccati alla televisione con gli indovinelli per vincere i milioni che non vincono. Insomma dove stanno quelli che non dovrebbero sopravvivere nel mondo ordinato che cara Giorgia ci sta appreparando. Eppure qualcuno ti ha pure votato, penza!
Cara Giorgia ti scrivo da quella periferia - che ci hai nel cuore - dove il cielo è dietro il muro della ferrovia dove sferragliano le super frecce che spaccano il minuto per i signori che le usano per lavoro o svago ministeriale, che al Sud restano un mistero cui crediamo per fede.
Ti scrivo da quel recesso poco igienico di mondo dove la scuola ci ha tutti quei bambini che la legge non vuole come italiani perché nel sangue ci hanno qualche globulo che non si smacchia, epperò basta che ce ne metti uno o una nella pubblicità - pulitino e sorridente - e ti sbianchi la coscienza di vero democratico.
Cara Giorgia, ti scrivo da quel fondo italico dove i poveri, bianchi o neri, spiaccicano disperati la faccia contro le vetrate delle ASL, ASP, ATS e ospedali, fra turni scritti su fogli volanti, vigilantes con palle attorcigliate a elica, per prenotarsi una visita, un'estrazione, una tac prima della data del loro funerale, impresa non sempre possibile. Ti scrivo dai dissestati d'Italia che, scansando le buche dell'ultimo acquazzone, gridano al miracolo sotto al Ponte che non c'è, mentre ci tagliate tutti i fondi per le scuole, le strade, le ferrovie e gli ospedali. Loro continueranno con allegrezza finché non si fotteranno gambe all'aria nella buca costituzionale che ci state preparando.
Cara Giorgia ti scrivo da quelle vicoli senza sole abitati da creature scolorute, fiduciose ancora di farcela quando la terra, l'aria, l'acqua glieli avranno asfaltati, arrubati, abbruciati per far sopravvivere solo chi potrà permettersi bombole d'aria alpina personalizzate da qualche influencer e per produrre lo spumantino all'idrogeno che andrà così di moda nelle afose giornate d'agosto, indossando il tanga futurista di Dolce e Gabbina.
Cara Giorgia, ti scrivo a nome del circolo di quelli arrangiati a strati nei sottoscala dove si comincia a penzare che la Patria possono avercela nel cuore solo gli amici degli amici del vostro circolo di subsegretari, ministri, direttori, portaborsette, fratelli di latte condensato, cognati, parolai di belle speranze con fidanzate annesse, màmmete, sòrete e tu, ex mogli un po' divorziate, amanti di contrabbando di primo livello, ex nonne restaurate di camerati sudamericani, cugini di secondo letto e nipoti di figli naturali, fràtete, pàtete e tu, nonché ex bionde dirimpettaie e tutti gli amici di Verdini: onestamente tutti questi ci hanno qualcosa da guadagnare dalla Madrepatria. Che poi, in fondo, siete tutti un po' figli di quel Padre Nobile del libertinismo italico che è stato il grande Silvio: lui, sì, che con il suo Biscione d'oro ha tracciato il solco della Nuova Patria. E questo, onestamente intenerisce anche gli spiriti più critici.
Cara Giorgia ti scrivo dal mio pertugio con cuore fragrante anche se questa parte d'Italia è piena di vecchi impauriti che, dopo aver fatto il giro dei cassonetti davanti all'Esselonga, va a barricarsi nelle case e a stonarsela con la valanga di indovinelli per vincere i milioni. E ti scrivo col cuore un po' raffermo guardando i treni, le navi e gli aeroplani che si portano via i nostri giovani: a fare famiglia all'estero, cara Giorgia, a cercare i diritti negati in questa patria in altre patrie, a cercare una speranza dove qualche straccio di speranza è concesso. Perché, cara Giorgia, Patria non è il luogo dove si deve aver paura d'essere ciò che si è, dove si è obbligati a calare la testa ai potenti, dove ci si sente un errore di svalutazione.

Epperò, cara Giorgia, per fortuna ci resta 'o mare! E mentre ti scrivo lo sento sbattere sulle pietre carico della schiuma dei sogni che abbiamo lasciato annegare senza muovere un dito davanti a Cutrò.

Cara Giorgia ti scrivo da quella parte di Italia che penzava di essere antifascista e che invece scopre che ormai ti vorrebbero pure a sinistra. Ché anche a sinistra qualcuno riscopre il suo cuore sfasciato perduto. E si rifascia, come può. E tu quanto ce l'hai sfasciato il cuore? E, sì bisognerebbe sfasciarseli sti cuori dalla raggia e dall'egoismo. Specie quando dappertutto, a ogni ora, piovono missili e bombe sulle teste degli innocenti.

Cara Giorgia, ora francamente mi ho stancato di questa lettera e non so più che ti volevo scrivere. Il cervello mi si ha spappolato, anche perché Tanino Tricchitracchi ci sta bombardando con l'autostereo della sua Uno tricolore da più di un'ora: la fidanzata lo ha chiantato e lui volesse demolirci tutto il caseggiato a corpi di decibel sarbaggi e napolitani. Pazienza.

Ah, non ci penzare a 'sta roba di Verdini. È roba scivolosa.
Ma tu sei la maga dello slalom! Dai, Giorgia, facce sognà!
E sono Felice, che senza saper che ti ha scritto, ti augura buon anno. Cià Giò.

Felice Sghimbescio

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